Autoanalisi

Ricordare per poter comunicare.Quello che abbiamo vissuto senza pentimenti e capriole, nè in politica, nè in privato. Molto amore, molta passione ed una spruzzata di fortuna, per noi che avevamo vent'anni in quegli anni.

Nome:

venerdì 20 maggio 2005

L'inizio della fine

Interno notte.
Cucina arredata anni sessanta, luce al neon, due attori ed un’attrice.
Bianco e nero.

Sono solo in casa.
Tre volte la settimana, a quest’ora, sono solo in casa.
Ho fame. Ho già mangiato del pane ed ho ancora fame.
Mancano quindici minuti alle otto e non torna nessuno.
Uffa, ho già apparecchiato, leggerò.
Finalmente le chiavi nella porta. Sono tornati.
Parlano, parlano sempre tra loro, ma che avranno da dirsi poi? Andiamo che ho fame.
Profumo di mia madre.
Odore di fumo sulla tuta da lavoro di mio padre.
Ho buttato la pasta. Loro sono a lavarsi.
Mio padre è arrivato in cucina, finalmente tra poco si mangia.
Ha acceso la radio: notiziario delle venti.
Ma che dice, si capiscono due parole su tre, questa radio è finita come i miei.
Cosa? Zitti un po’ voi… zitti ho detto, che non si sente niente… dice che hanno messo una bomba… madonna ci sono un monte di morti… a Milano… in una banca a Milano… dice che forse sono stati gli anarchici… non è possibile, che stronzata è questa…
Non so che fare, anzi sì, telefono a F….
-Ma chi se ne frega se si consuma una telefonata, interessa a me!
-Pronto F. hai sentito la radio? Ah, l’hanno detto anche alla tele? Ora l’accendo… ma secondo te che è successo? Si. L’ho pensato anch’io, gli anarchici queste cazzate non le fanno… e se fossero stati i fascisti?
-Senti mangio qualcosa e ci vediamo in centro…ciao.
-Si, dopo esco… si anche stasera… ma dove volete che vada, in centro… Si, ma che casino, ora secondo voi le mettiamo noi le bombe… si, va bene, va bene, come volete…





Esterno notte.
Una piazza, grandi arcate ottocentesche, gruppo di attori che parlano concitati.
Bianco e nero.

No, guardate che ha ragione Bellico questi ci stanno preparando una trappola… hanno arrestato quel ferroviere… il Pinelli… hanno detto i compagni di Milano che lo stanno interrogando… povero Cristo, chissà quante ne rimedia…
Oh, domattina tutti davanti a scuola, sciopero naturalmente… bisogna organizzare i picchetti… no ragazzi un altro caffè non lo voglio.. dai, ciao, ci vediamo domani.




Esterno giorno.
Cancelli di un edificio scolastico, quattro attori distribuiscono dei volantini, un’attrice parla con un megafono, presenti n comparse
Bianco e nero.

No, non si entra… stamani sciopero… ma dove vivete, hanno messo le bombe, volete che le mettano anche qui? Macchè anarchici, non state a sentire quello che dicono, vi prendono per il culo… Oh, amico, estremisti un tubo, siete voi della FGCI che state sempre a cercare di trovare delle scusanti a tutto… non se ne può più dei vostri ragionamenti… e dai che state dalla parte dei padroni… stai calmino, capito, vai, vai in classe crumirino…
Forza ragazzi, formiamo il corteo…
Vai, eccoli, con la loro 1100 blu, perché non ce lo scrivono sopra: “Polizia politica”, sarebbero meno ridicoli…
-Si, ecco il volantino, no i documenti non li abbiamo… si, si fa il corteo c’è qualche problema? Parlatene con quel compagno là, quello con la sciarpa nera…
Ragazzi non abbiate paura, cercano di intimidirci, ma non possono farci nulla…
[questi alla fine, dai e dai, trovano rogna]
-Oh, Formaggino che hanno detto i questurini? Lo sapevo che non ci facevano andare in centro, hanno troppa paura… allora andiamo in corteo al Palazzetto dello Sport e facciamo assemblea…
-Forza, muoversi, si va al Palazzotto.
-G., con quel megafono, lancia qualche parola d’ordine… dai che poi si fa di corsa l’ultimo pezzo…

-Ora calma, noi entriamo a parlare con i prof che fanno ginnastica…
-Non ti preoccupare, coso, che quelli escono e anche alla svelta…
-Biondi, guardi che deve interrompere la partita perché c’è assemblea… no, guardi che non sono ordini e non siamo strafottenti, perché potevamo entrare tutti e trecento e lei si levava velocemente da qua… no, non vogliamo creare problemi, sempre che lei non li crei a noi… guardi. vada pure a dirlo a chi le pare, che tanto a noi non ce ne frega niente… si, se vuole può anche chiamarli, anzi stanno qui fuori, anche se sono in borghese… vada, vada, ci parli che è meglio per tutti…

-Fate funzionare questo coso, altrimenti si parla con il megafono… ragazzi, zitti, fate meno casino, la questione è seria… qui qualcuno ha deciso di mettere le bombe per farci paura, ma non hanno capito che così ci fanno soltanto incazzare di più… da Milano hanno detto che stanno rastrellando la città ed hanno già fermato almeno cinquanta compagni… questi vogliono farci paura, ma noi la paura la dobbiamo fare a loro… giusto?
[ boato, rumore di fondo] Bravi, così si risponde alle provocazioni… resta inteso che i prossimi giorni facciamo assemblea permanente [siamo forti, più forti di loro, cazzo]…
-G. dammi il megafono, forza:




Esterno giorno.
Aula magna di un edificio scolastico, due attori con un megafono parlano a n comparse.
Bianco e nero.

-Compagni, ieri l’anarchico Pinelli è stato ammazzato in Questura a Milano. Hanno detto che si è suicidato gettandosi da una finestra, ma di sicuro ce lo hanno buttato loro. Lo Stato ha paura e reagisce con tutti i mezzi. Dobbiamo lasciarli fare? Dobbiamo aspettarli a casa, fino a che non vengono a prenderci? Scendiamo nelle piazze, facciamogli vedere che non possono piegarci, uniamoci ai lavoratori che stanno rivendicando maggiori salari e migliori condizioni di lavoro, uniamoci ai nostri fratelli, per una vita migliore in fabbrica e per una scuola proletaria, che metta tutti nelle condizioni di studiare. Tutti, non soltanto i figli di papà, i figli di chi fa i soldi sulla nostra pelle e sulla pelle dei lavoratori!



Esterno giorno.
Un edificio scolastico, due attori distribuiscono giornali a n comparse.
Bianco e nero.

-Compagni leggete il “Valpreda Libero”, foglio di contro-informazione sull’arresto dell’anarchico Pietro Valpreda, che lo stato vuole incastrare come esecutore materiale dell’attentato di Piazza Fontana!
Dobbiamo mantenere la mobilitazione perché il compagno Pietro non diventi un mostro sbattuto in prima pagina!

-Senti Fabio qui mi sembra un gran casino, bisogna organizzarsi meglio, aprire questa cavolo di sede e cominciare a lavorare, perché a questi qui, mi sa, che gliene frega il giusto delle bombe… Questi ci vengono dietro se cominciamo a dare degli esempi… si, anche a scuola… facciamogli vedere che non vogliamo più sopportare la repressione a partire dai professori… che cosa si deve fare di preciso non lo so, parliamone… sentiamo Milano… facciamo più scioperi… senti ai GAP c’è riunione anche domani, andiamoci… anche se io nei Katanga non entro, non ho il fisico e lo scontro mi fa anche un po’ paura… senti, stai calmo, io preferisco dirlo apertamente, non come qualcuno che fa tanto il ganzo e poi ci ritroviamo soltanto in venti a spostare le macchine… al massimo faccio il cordone laterale… e poi non è mica obbligatorio andare allo scontro… non si vince mica in quattro bischeri per la strada… ci vuole l’organizzazione, ci vuole… macchè stalinista, ora se uno vuole organizzarsi diventa per forza stalinista…
-Oh. Stammi a sentire Fabio, io voglio vincere, mica divertirmi!







Immagine a pieno campo di una pagina del Corriere della sera del 29 dicembre1972.
Titolo in quarta.
Bianco e nero.

Oggi è tornato libero Pietro Valpreda. E’ stata, infatti, approvata una legge che prevede la possibilità di accordare la libertà provvisoria anche per i reati in cui è obbligatorio il mandato di cattura.






Immagine dell’aula del Tribunale di Catanzaro.
Scritta in sovrimpressione.
Bianco e nero.
18 gennaio 1977
Imputati: neofascisti, Sid e anarchici. La sentenza: ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini, assolti Valpreda e Merlino.


Immagine dell’aula del Tribunale di Catanzaro.
Scritta in sovrimpressione.
Bianco e nero.

13 dicembre 1984.
E’ iniziato il quinto processo che vede come imputati Valpreda, Merlino, Freda e Ventura. Tutti assolti.


Immagine servizio televisivo Rai 3.
Scritta in sovrimpressione.
Bianco e nero.
Giugno1990. Le indagini riaperte dal Pubblico Ministero Salvini subiscono una svolta decisiva. Delfo Zorzi, capo operativo della cellula veneta di ordine Nuovo, per sua stessa ammissione, è l'esecutore materiale della strage. Zorzi dopo l’attentato riparò in Giappone dove tuttora vive protetto dal governo Nipponico, che ha sempre rifiutato di concedere l’estradizione del neofascista.

Esterno giorno.
Atrio di una stazione.
Due attori conversano.
Colore.


- Ciao A., hai letto la notizia? Dai e dai dopo trentasei anni la Cassazione ha confermato che non ci sono colpevoli per la strage di Piazza fontana.
Come volevasi dimostrare!
-Si, lo so sembra assurdo anche a me, ma è così, d’altra parte lo sai, in Italia questo ed altro… non dobbiamo certo meravigliarci… e poi tutte le altre stragi? Sai cosa mi rende un po’ triste? Che a commentare questa cosa siamo rimasti i soliti quattro bischeri… si sempre quelli di allora… i sopravvissuti… hai ragione tu, siamo dinosauri in attesa del meteorite… comunque io la mia su queste storie voglio continuare a dirla… magari proprio a quelli della nostra generazione, che sembravano voler rivoltare il mondo e poi, com’era prevedibile, sono finiti a fare i dirigenti o nelle fabbriche o negli uffici o nei partiti, che poi è la stessa cosa… ma non ti preoccupare che le cose stanno cambiando… è che magari quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi… tutti struzzi catodici che passano il tempo contando gli spiccioli… non è che personalmente sia felice, ma tra poco vedrai quanti sogni infranti… e d’altronde i nostri figli campano soltanto grazie a noi… quando saranno soli cambierà la musica… senti non è bello da dirsi, perché sarà pure la situazione storica, dipenderà dalla controrivoluzione, dai problemi di tutti, ma sai che ti dico? Facciamo proprio schifo!


Ripensandoci, l’autunno di quell’anno fu effettivamente veramente infuocato, sia sul fronte sindacale che delle lotte studentesche. Troppo, probabilmente, per lo Stato ed i suoi apparati, che pensarono bene che era ora di raffreddare un po’ i bollenti spiriti soprattutto della classe operaia, che stava rialzando pericolosamente la testa dopo anni di ricostruzione, durante i quali gli era stato imposto di lavorare a testa bassa e a bocca chiusa.

Ecco perché il giorno antecedente il mio compleanno, alle 16 e 37 minuti, in Piazza Fontana, a Milano, furono spazzate via diciotto vite, falciate da una bomba che fece anche ottantasette feriti.
Era la risposta “algerina” dei padroni del vapore ai loro schiavi.
Era il primo di una lunga serie di attentati che, poi, la storia indicherà come “la strategia della tensione”.

Etichette: , , , ,

venerdì 13 maggio 2005

Il sessantotto

Dal ’66 al ‘69
Quando iniziammo ad uscire dall’incubo dell’alluvione, avevamo già ampiamente percorso buona parte del 1967.
Sino allora eravamo stati presi dalla sopravvivenza e privi com’eravamo d’energia elettrica ed essendo introvabili i giornali, eravamo rimasti senza notizie dal mondo esterno.
Avevamo, insomma, vissuto in una sorta d’apnea culturale per mesi.
Ma nonostante i nostri guai, nel frattempo, il resto del pianeta aveva continuato a vivere, anche se pure preistoricamente come al solito.
La tensione mondiale aumentava: a giugno, con la guerra dei sei giorni, gli israeliani estendevano il loro territorio dal Libano meridionale al Sinai, sino ai confini giordani.
In Grecia s’impadronivano del potere i colonnelli: il risultato sarà successivamente una repressione spietata contro gli oppositori di sinistra.
In Bolivia veniva assassinato Che Guevara.
In Nigeria scoppiava la guerra civile per la secessione del Biafra: da allora il nome di quella regione, per noi, divenne sinonimo di fame e disperazione.
In Italia, più semplicemente, scoppiava lo scandalo per i Servizi deviati ed iniziavano le proteste ed i cortei contro la riforma Gui.
In quei mesi sono occupati gli atenei di Pisa, Trento, Milano, Torino.
Io sono stato promosso in seconda istituto senza infamia e senza lode.
I tempi delle medie sembrano lontani, qua mi sento un numero, sono insofferente a questa classe affollata, alla necessità di adoperare unghie e denti per rimanere a galla o comunque per non fare la fine di quei due o tre che sono presi costantemente di mira per la loro presunta incapacità a vivere secondo i canoni della maggioranza.
Probabilmente sono il perfetto connubio d’ipersensibilità ed immaturità.
Non ricordo assolutamente nessuno dei miei compagni di allora, eppure alle elementari ed alle medie avevo fior fiore d’amici.
Da quando entro in quel palazzaccio scolastico sino a quando n’esco, è una quotidiana sofferenza: sto imparando ad imboscarmi, una pratica che mi sarà molto utile durante i quindici mesi di militare.
Ricordo solo la professoressa d’italiano, che a cinquanta anni era lì a chiedersi come poteva fare a reggere sino alla pensione, sovrastata dal diffuso disinteresse e dalla crudezza di quei ragazzi.
Nel frattempo era arrivato il ’68 ed ancora non lo sapevamo.
Il 1968 è il giro di boa, l’anno di Valle Giulia, delle Alfa e dei gipponi verde militare della celere. I poliziotti, in quell’occasione, sono ancora impreparati, legati nei movimenti dai loro pastrani indietreggiano e si disperdono: dopo un primo scontro sono già pronti a ripiegare.
Gli studenti hanno ancora i capelli corti e le idee poco chiare come sempre.
Finisce tra sassaiole e lacrimogeni; i giornali titolano stupiti: “Follia all’Università d’Architettura di Roma”.
In Francia tutti hanno le idee più chiare, o così almeno pensano: è il Maggio francese, quello rimasto nei libri di testo.
In Messico si fa ancora più seriamente: decine di studenti sono uccisi durante una manifestazione in piazza delle Tre Culture a Città del Messico.
A Praga Dubcek è destituito con la forza dall’esercito sovietico.
Negli Stati Uniti sono assassinati Robert Kennedy e Martin Luther King e Nixon diviene presidente.
In Italia dopo un’alluvione c’è da aspettarsi un terremoto ed, infatti, il Belice n’è devastato.
Se andate là, ancora oggi esistono le baracche dei primi soccorsi, abitate e tramandate di madre in figlia.
Io comincio a formarmi un’idea di massima di come va il mondo.
Inizio a pensare che forse fare lo studente “in rivolta” sia meno noioso che fare il bravo studente.
Oggi si direbbe: i bravi bambini vanno in Paradiso, ma quelli cattivi vanno ovunque.
Ed allora rifletto, cerco di capire.
Il mondo così com’è non mi piace per niente e, in ogni caso, questo iniziare a sentirmi parte di un tutto è molto gratificante.
Che gli studenti sono politicamente il nulla, lo capirò soltanto molto tempo dopo, per ora mi affascina quel turbamento che inizio ad avvertire nel corpo insegnante ed in generale nella cosiddetta opinione pubblica.
Avevo già gli stivaletti ed il cappello alle Beatles, decido ora per un cambiamento d’immagine: eskimo, pantaloni di velluto a coste ed anfibi.
Tra poco arriveranno maglioni fatti a mano e sciarpa rossa.
Ma la lotta non è alle porte e mi hanno rimandato in due materie; studio come un matto ed a settembre è un figurone. Sono in terza.
Abbiamo iniziato a ripulire dal fango dell’alluvione una cantina in Via dei Pepi.
Il padrone è tutto contento, ottiene lavoro gratis e può contare -lui che ha esperienza- sulla nostra futura incostanza e dunque su una cantina pulita a sua completa disposizione. Facciamo le prime feste.
Ho conosciuto una ragazza carina, intelligente e, soprattutto, che mi sta a sentire. Potrebbe essere un buon inizio.
A scuola abbiamo inventato gli “attivi”, assemblee di classe ed interclasse, che pretendiamo, dopo un inizio legalitario, di gestire da soli nei tempi e nei modi.
Il Movimento Studentesco è oramai una realtà, in molte città i manifestanti hanno scaramucce con la polizia e l’effetto valanga amplifica le poche notizie che iniziano a circolare.
Il mio disagio e la mia insofferenza aumentano, sia verso i miei, sia verso il mondo intero.
In quarta andrò se rimedierò tre materie: l’escalation è preoccupante, ma chi se ne frega.
La mia estate passa sui moli di cemento di Castiglioncello, vicino alla nuova ragazza, ma con la testa allo studio e a questi nuovi pensieri che ronzano incessanti: il mio ruolo, il mio domani, il futuro di tutti.
Mi pesa l’inutilità di qualsiasi cosa abbia sinora messo in atto per cercare di oppormi a questa cappa che sento sulla testa, una zavorra che è connubio d’ingiustizia ed insoddisfazione. Avverto, forte, il desiderio di qualcosa di nuovo, che ancora, come tanti altri, non riesco a mettere a fuoco.
Ancora non sapevamo che in questi anni si stavano mettendo in gioco i destini di molti di noi, tanti trip diversi, dalla droga alla Skorpion, ai viaggi senza ritorno verso i paradisi orientali.
Anche io ero dinanzi a strade diverse, ma, fortunatamente, il carattere e la formazione mi hanno sempre spinto ai margini di quel gorgo. Da lì sono stato obbligato ad osservare la fine di non pochi miei compagni, risucchiati nel nulla.
Fortunatamente le P38, epilogo di quegli anni che dovevamo ancora vivere, erano ancora lontane ed i passamontagna servivano soltanto per ripararsi dal freddo andando a scuola in motorino.
I nostri mascheramenti di battaglia, per il momento, erano soltanto i fazzoletti sul volto, quasi un’imitazione dei banditi dei film western.
In quel periodo iniziarono a circolare i volantini di Potere Operaio.
Cominciammo veramente a credere di essere un’entità reale, di poter creare qualcosa di diverso in questa società e di non essere costretti a fare soltanto “il nostro dovere”.
I nostri genitori si stavano allontanando da noi a velocità esponenziale e le regole sembravano esserci poste dinanzi soltanto perchè potessimo infrangerle.
La nostra generazione comprese in quei giorni di avere un’opportunità, ossia di questo s’illudeva, ma in ogni modo, l’energia liberata stava divenendo smisurata e minacciosamente continuava a lievitare.
Io supero lo scoglio degli esami di riparazione, anche se i professori iniziano a guardarmi in maniera particolare.
Dal mio punto di vista i loro timori si trasformano in forza, le loro oneste incertezze nelle mie future arroganze.
Il 1969 è il primo dei miei due anni terrificanti, atroci nei rapporti con i miei, con la scuola, con il mondo intero, con me stesso.
Sono in quarta istituto ed alla fine dell’anno sarò rimandato a settembre in tutte le materie per aver superato il quarto delle assenze consentite.
In realtà supererò abbondantemente la metà.
In quell’anno le paure di mia madre prendono forma, si concretizzano: ho infatti incontrato le tanto temute “cattive compagnie”, in particolare un nuovo compagno di classe che viene da Livorno.
L’ho trovato subito interessante, con le sue chiacchiere, il modo sfacciato di opporsi alla vita, le critiche feroci al sistema, il vivere da solo in pensione, quell’aria da me ne frego che affascina sempre quelli come me.
Aveva un modo di pensare, una sorta d’ideologia, che, sostanzialmente, al momento del suo arrivo a Firenze, credo fosse ancora fascista. Almeno in quella forma strana che gli anarchici individualisti coltivano a quell’età. Capì che con me gli conveniva sbandierare un altro vessillo e si adeguò: io facevo Pinocchio e lui compendiava Gatto e Volpe.
Non ricordo come fu che il nostro covo, la nostra ragnatela, divenne un bar del centro, in Piazza Davanzati.
Meno che andare a scuola facevamo di tutto.
Nella saletta sottostante, quelle che oggi sono definite tea-room, aspettavamo al varco le ragazze, che iniziavano ad avere i loro bisogni di ribellione, necessità alle quali noi disegnavamo i confini. Ce n’erano grate e ci ascoltavano cercando di assumere quell’aria un po’ vissuta, un po’ sofferta che si presumeva noi avessimo gradito.
Ci raccontavano le loro pene, mai semplicemente amorose, perché questo non era più di moda, ma sempre intrise di politica fantasiosa, di richiami a libri ed autori che ignoravano quanto noi.
Noi eravamo quelli che le capivano, anzi quelli che maggiormente le incitavano ad una loro vita autonoma ed indipendente, che le spingevano a far valere la loro personalità, a liberare il loro fuoco mistico.
E tutte, inevitabilmente, ci cascavano.
Alla fine di maggio la Viola mi regalò una di quelle emozioni che si possono raccontare ai figli e per come stanno le cose a tutt’oggi, purtroppo anche ai nipoti. Battendo la Nemica Storica, l’Innominabile, con una giornata d’anticipo, vinciamo il tanto sospirato secondo Scudetto.
Due giorni e due notti di giubilo; Firenze è ai piedi della sua squadra e per un anno può sentirsi caput mundi. Finalmente noi fiorentini possiamo pavoneggiarci, vantarci ed esibire i nostri campioni.
Con Fabio passiamo giornate e notti in giro per la città, sventolando il bandierone dai finestrini della sua Fiat 850.
Non soltanto nella società, ma anche nel calcio, pensiamo, il vento sta cambiando.
Mai giudizio fu più illusorio! Anche se nel mondo reale, in effetti, le cose, in quei giorni, sembravano aver imboccato la giusta strada.
Sin dall’inizio dell’anno, infatti, c’erano state dimostrazioni e scioperi degli studenti, proteste che sembravano non poter che espandersi a macchia d’olio.
Nel triangolo industriale anche gli operai iniziavano a scioperare e nelle fabbriche si faceva strada un nuovo modo di porsi dinanzi all’autorità interna.
I capi reparto iniziarono a guardarsi sovente le spalle.
Per quanto riguarda i nostri cortei di allora, quelli degli studenti, che pur gridando “studenti-operai-uniti-nella-lotta” erano ancora soli soletti, erano del tutto diversi da quelli che nei nostri anni hanno visto contrapporsi forze dell’ordine e no-global.
Differenti anche da quelli della metà e fine anni settanta, quando l’Autonomia era una realtà organizzata e gli scioperi momenti strategici d’attacco allo Stato.
Quelle prime nostre dimostrazioni erano semplicemente lo sfogo di ragazzi che chiedevano di avere la speranza di vivere la loro vita diversamente da quella, operosa ma triste e grigia, dei loro padri e delle loro madri.
Questo almeno all’inizio, prima che Celere e CC spazzassero via ogni illusione, caricandoci e picchiandoci, trattandoci, insomma, come nessuno prima aveva mai fatto, neppure le nostre famiglie.
Allora in noi, figli del boom economico, scattò un meccanismo di rivalsa, d’onesta vendetta, di ripicca personale, come di chi, dopo aver visto per la prima volta i colori per pochi attimi, è bendato di nuovo per il resto della vita.
Cominciammo allora ad organizzarci.
Cioè iniziammo a capire che dovevamo opporre qualcosa di nuovo allo strapotere di chi derideva i nostri capelli già lunghi, i nostri jeans scritti a penna e le nostre aspirazioni per un impossibile mondo nuovo.
Lotta Continua nasce così tra l’estate e l’autunno a Torino. S’incontrano al suo interno studenti provenienti dall'Università di Trento, della Cattolica di Milano, dalla Normale di Pisa e operai delle carrozzerie di Mirafiori.
La sua storia si può grossolanamente dividere in due parti: fino all'ottobre 1972, periodo in cui le attività dell'organizzazione furono sempre poco strutturate e spesso lasciate allo spontaneismo e dal '72 in poi, quando L.C. si avviò verso una vera e propria "istituzionalizzazione", che la portò, nel gennaio del 1975, a strutturarsi come un partito.
Ed è in ottobre che si concretizza il processo iniziato in estate, principalmente per iniziativa del Potere Operaio di Pisa, dove militavano Sofri e Pietrostefani, del Potere Proletario di Pavia, del Movimento Studentesco di Torino, di Milano e di Trento.
Nella galassia dei gruppi rivoluzionari sorti dopo il Sessantotto (tra cui Servire il popolo, Avanguardia operaia, Potere operaio, il Manifesto), Lotta continua rappresentò l'anima libertaria e spontaneista.
Chi conobbe quella prima L.C. ed aveva già altre idee, prese subito strade diverse; quelli a cui quelle idee vennero da lì a pochi anni, ne uscirono per aderire ad altre organizzazioni.
In quanto a Sofri devo dire che non ha mai goduto delle mie simpatie. Allora consideravo Adriano spocchioso e distante, il prototipo dell’intellettuale che gioca a fare il rivoluzionario, che si finge schivo per essere più ricercato.
Più tardi poi, quando già le nostre strade si erano divise da tempo, mi schifò molto il suo approdo alla Corte dei Miracoli craxiana, con lui e Martelli a sputacchiare metaforicamente sui passanti dall’alto del loro balconcino della politica.
Ma oggi che Adriano è in galera da anni per un qualcosa che con molta probabilità non ha fatto, oggi che cerca di sopravvivere con coerenza ad una pena che sembra non debba finire, oggi, finalmente, riesco ad avere rispetto per lui.
In lui, lo riconosco, rivedo un po’ me stesso: un uomo invecchiato, ma ancora con la voglia di capire, di comunicare, di ricordare e far ricordare.
In quegli anni, non soltanto tra noi, ma nell’intera società, iniziavano a serpeggiare sentimenti di rivolta e di rivalsa, che in breve ci convinsero della necessità di spostarci sullo stesso terreno sul quale ritenevamo stesse già camminando l’avversario di classe.
Ripensare a quel periodo cercando di capire, significa calarsi in quel clima, in quel vento culturale che spazzò tutta la società, che coinvolse i nostri padri ed i nostri fratelli, al pari di tutti noi.
I freni venivano allentati, le vecchie regole messe in discussione, la nostra sollevazione diveniva quotidianità, accettata e discussa in tutte le nostre famiglie.
La violenza politica intesa come insubordinazione totale divenne la consuetudine.
Nonostante tutto ciò, L.C. prese sempre le distanze dagli episodi di terrorismo che si succedettero in quegli anni. Noi c’illudevamo, banalmente, che bastasse scendere in piazza, che bastasse criticare l'autoritarismo, eravamo mossi dall’insana voglia di rivoluzionare le strutture del sistema sociale e non sapevamo niente di politica e di scontri sociali, di Marx e di Lenin, di petrolio e multinazionali.
Ci limitavamo a rilanciare nella vita d’ogni giorno gli slogan che gridavamo nei cortei, pensavamo alla Cina come alla genesi del nuovo mondo e là, intanto, migliaia di comunisti erano passati per le armi, come trenta anni prima era successo nella Russia stalinista.
Volevamo fare la rivoluzione, ma eravamo soltanto dei contestatori.
E da bravi critici, poi, molti di noi hanno voluto provare l’ebbrezza del ponte di comando.

Etichette: , , , ,