Incubi veri e falsi
Improvvisamente alzo la testa.
Ho una strana sensazione.
Un senso di apprensione che lentamente si sta sviluppando, quasi fosse un presentimento.
E più metto a fuoco, più l’inquietudine cresce.
In un primo momento ho avuto soltanto una scossa, un colpo di frusta che mi ha percorso tutto il corpo per finire alla gola, come quando un’emozione ci coglie alla sprovvista, troppo intensa per venire metabolizzata all’istante.
Ora ho anche un po’ paura.
Almeno credo.
Diciamo che sono pervaso da qualcosa di più di una sana apprensione.
Non vedo nessuno davanti e neppure alle spalle, ma quello che più m’impressiona è che non c’è nessuno neppure ai lati.
Insomma, non dico che debba per forza esserci una folla festosa, magari neppure passanti incuriositi, ma almeno qualcuno che faccia i fatti propri sarebbe anche lecito aspettarselo.
Invece niente, eppure il percorso è questo, tant’è che è pure segnato e la striscia rossa al centro della strada prosegue ben oltre il mio sguardo.
Comincio a rallentare.
Cercherò di correre sul posto, oramai ho rotto il fiato e se mi fermo rischio di ritrovarmi con il fiatone e le gambe molli.
In verità mi sento già un po’ stanco, eppure non mi sembra di avere percorso troppi chilometri.
Consulto il cardiofrequenzimetro: tutto a posto.
Il cronometro si è fermato: lo sapevo che dovevo cambiare quella maledetta batteria.
Mi viene da pensare che possa essere una buona metafora della condizione dell’uomo moderno: quando meno te lo aspetti ecco che l’energia si esaurisce e ti lascia a chiappe scoperte.
Comincio ad intravedere qualcuno lontanissimo alle mie spalle. Lo aspetterò almeno sino a quando non vedrò il numero della sua pettorina e poi, giuro, riparto come una scheggia.
Ce ne sono addirittura due; si avvicinano e comincio ad intuire i loro numeri.
Il primo ha il 25867 ed il secondo il 16002.
Questi erano quasi in fondo, io ho il 1312.
Mamma mia come sono scoppiati; dallo sforzo sembrano quasi dei vecchi.
Guarda quello che pancetta.
Corridori della domenica.
E quell’altro: quattro peli sulla testa; ma che oggi fanno correre soltanto i vecchietti?
E quelli “forti” dove sono finiti? Sarà la solita tattica del “vai vai che poi ti riprendo e ti lascio piantato lì”.
Però anche queste strade mica le riconosco; eppure ero venuto a fare una ricognizione questa notte con un amico che segnava il percorso.
Mah, dipenderà dal fatto che di giorno tutto appare diverso; fra l’altro il tempo non è neppure un granché!
Però i palazzi ondeggiano un po’ sfumati e questo oltre a non essere bello non è neppure troppo normale.
Sono ripartito e sono di nuovo solo.
Questa cosa comincia ad essere opprimente.
Insomma ero venuto per divertirmi e magari vincere una medaglietta; quelle che fanno per gli sciagurati come me che pagano e che vanno accontentati altrimenti non ritornano.
Quelle medagliette in similoro con scritta la data e magari “Classificato nella seconda edizione della gara podistica Un futuro Migliore”.
Però, che crisi.
Quella fermata mi ha creato problemi di respirazione, accidenti.
Il frequenzimetro ha cominciato a fare bi bi bi ed anche questo non va proprio bene.
Mi sento un’oppressione qui sul petto come se fosse scesa una mano gigante da questo cielo plumbeo.
Va a finire che mi fermo.
Va a finire che smetto di respirare.
Va a finire che qui ci lascio le penne e poi vorrei sentire tutti i commenti sullo scemo che va a correre e poi non si è neppure allenato e magari ha preso anche delle porcherie ché questi scemi della domenica si vogliono sempre mettere in mostra.
Buio, ora è tutto buio.
Madonna che angoscia!
Mi sveglio di colpo tutto sudato, in gola un acido che brucia e non mi fa respirare.
Mi alzo di scatto, non so neppure da che parte del letto sono e così batto violentemente nel tavolinetto. Non sento niente, preso da questo strano soffocamento.
“Respira con il naso, come quando bevi in mare e ti sembra di morire”. Me lo dico e lo faccio e la situazione lentissimamente inizia a migliorare.
Poi comincio a tossire e mi viene voglia di vomitare.
Ma che cavolo mi sta succedendo?
C’era un sogno, mi pare; una cosa strana con me che correvo ed ero solo e tutto era strano ed angoscioso.
Vado in bagno, mi sciacquo la faccia, bevo un po’ d’acqua, tossisco ed il panico tende a zero.
Avrò mangiato troppo o troppo poco, adesso non ricordo.
Mi rimetto a letto, il sonno se n’andato; già ho difficoltà di mio, figurarsi adesso.
Allora tra un colpo di tosse e l’altro mi metto a pensare, attendendo che il bruciore alla gola si attenui e torni il sonno.
Pensieri aggrovigliati; quelli che si fanno alle due di notte quando ti svegli con l’anima pesta e la testa istupidita.
Mi viene da pensare -chissà poi perché!- all’elezione del nuovo papa, al suo sorriso e a quegli occhi da Gatto Silvestro, a quel grido ritmato dalla folla, quel “Be-ne-det-to-Be-ne-det-to!” che riporta ad altre piazze ed ad altri balconi, anch’essi romani.
Penso che il videoregistratore è rimasto acceso e che dovrei alzarmi di nuovo per spengerlo e la cosa mi pare più faticosa che salire a piedi sulla Torre Eiffel.
Penso alla mia squadra di calcio che sta sprofondando verso la serie cadetta ed a me che non vorrei occuparmene e che invece sono sempre con un occhio ad Internet.
Penso a mio figlio che è di là che dorme e che magari ha gli incubi per lo stesso motivo.
Per la squadra intendo, non per il Papa.
Penso che ieri ho incontrato una ex insegnante di mio figlio, che mi ha ricordato quanto lui fosse già maturo, per certi versi, sin da quegli anni. E questo mi fa riflettere sul fatto che invece io vorrei tornare indietro e ripercorrere la vita, perché mi sento un po’ingannato dal destino, o meglio, dalle mie scelte oltremodo sbagliate, almeno sotto certi punti di vista.
Sarà la nemesi storica, ma mi ritrovo a fare come mio padre anche in questo.
E poi sarà pure una combinazione, ma quello stupido sogno (che non era riuscito neppure ad essere un incubo serio), si adatta perfettamente alla mia situazione.
Effettivamente negli ultimi tempi penso spesso a questa questione, dunque l’inconscio deve entrarci poco.
Rimugino specialmente sul mio percorso ideale, politico; perché passati i cinquanta un po’ di ansia viene.
Dove sono finiti tutti quelli che avevo accanto allora?
Si, insomma, a parte quelli che sono finiti a fare i dirigenti in Comune alla Regione alle Ferrovie in qualche partito eccetera, tutti gli altri, i signori nessuno come me, che fine hanno fatto?
Eppure dagli anni sessanta in poi, siamo stati più o meno tutti marchiati da quegli avvenimenti, tutti abbiamo respirato quell’atmosfera e tanti di noi hanno fatto nelle strade e nelle piazze le loro esperienze più importanti.
Noi eravamo lì ed anche non volendo quegli anni li abbiamo vissuti e sofferti.
Il guaio è che a quanto pare oggi al “nemico” non necessita più neppure del sano revisionismo: tutto è già dimenticato, o spesso peggio, mitizzato.
Alla fine abbiamo prodotto un sacco di icone, utili soltanto per essere commercializzate. Forse per tanti è stata una rimozione necessaria a mantenere un equilibrio psicologico o forse è semplicemente normale dimenticare quando le cose cambiano. Io, al contrario, ho voglia di ricordare, ho voglia di ripercorrere quegli anni e quelle sensazioni, nella consapevolezza di poter richiamare alla memoria quel lungo periodo con l’ottica privilegiata di chi l’ha vissuto dall’interno. I ricordi posso farli iniziare, per esempio, da quel novembre ‘63, ipotetico anno d’inizio della mia formazione politica.
Quello fu l’anno in cui Kennedy cadde sotto i colpi di Oswald (che dopo quarantotto ore avrebbe fatto la stessa misteriosa fine) ed in quell’anno l’unica cosa che conoscevo della politica nostrana era il simbolo del PSI, partito al quale mio padre dava la sua preferenza.
Era il periodo del primo Governo di centrosinistra, che creò non pochi problemi proprio in casa socialista, tant’è che già l’anno successivo il partito pagava questa partecipazione con la scissione: nasceva il PSIUP, al quale quasi subito mio padre aderì.
Io ero un qualsiasi ragazzino che approdava alle medie inferiori e vivevo in un mondo in cui l’informazione, per come la concepiamo oggi, era del tutto inesistente. Pochi i giornali ed ancor meno i lettori, un canale televisivo e due stazioni radiofoniche.
Degli avvenimenti di quegli anni sentivamo parlare a casa o al bar della Casa del Popolo.
I fatti di cronaca per noi ragazzi erano lontani come le zone geografiche che interessavano, come quando nel 1961 gli statunitensi sbarcarono alla Baia dei Porci, tentando, senza riuscirvi, di invadere la Cuba di Castro; l’anno dopo scoppiava la crisi dei missili e Kennedy poneva l’embargo all’isola.
Il 1963 fu, anche, l’inizio di quel conflitto in Vietnam che avrebbe cambiato buona parte del mondo dell’epoca, infiammando le generazioni dei ventenni d’ Europa e d’ America.
Nel frattempo nel 1960 erano nati i Beatles e la Loren vinceva l’Oscar. Ma nessuno di loro, ovviamente, poté impedire che nel ’62 fosse costruito il muro di Berlino.
Sempre nel 1962 moriva suicidata Marilyn Monroe e nascevano i Rolling Stones, l’Algeria proclamava l’indipendenza dopo una sanguinosa guerra nazionale ed in Italia moriva (ancora oggi misteriosamente) Enrico Mattei, presidente dell’Eni.
Ma il ’63 non è soltanto l’anno della mattanza statunitense, è anche quello della grande marcia per i diritti civili che Martin Luther King guidò a Washington.
Purtroppo, nello stesso periodo, nell’Italietta pressappochista, il crollo della diga del Vajont faceva contare 1440 morti, uccisi dall’ingordigia del rampante capitalismo italiano.
L’anno dopo, nel 1964 io ero, ovviamente, lo stesso dell’anno precedente.
Il volano del mondo iniziava a prendere velocità, ma io mi limitavo a fare il bravo studente ed a cercare di rimanere tra i primi della classe, e questo nonostante odiassi la scuola con tutte le mie forze.
La disponibilità poi dei miei, che fiduciosi si affidavano alla mia presunta maturità, mi metteva proprio in crisi.
Io cominciavo a scrivere le prime poesie, stimolate dagli amori e dalle delusioni, come, d’altra parte, accade più o meno a tutti a quell’età.
Alle medie inferiori, si sa infatti, che le bambine diventano presto ragazze, mentre i maschi, nella maggior parte dei casi, rimangono in un buffo stato intermedio sino alle prime classi superiori, quando i loro ormoni, finalmente, hanno la meglio sul calcio e la vergogna.
A questa regola fanno eccezione quei pochi che oltre a sembrare già adulti, iniziano anche a ragionare come tali.
Io ero un’eccezione nell’eccezione: sembravo un bravo bambino, ma avevo gli stimoli di un sedicenne.
Questo creava non pochi problemi, perché ero attratto dalle ragazze a cui piacevano, inevitabilmente, gli sportivoni di bella presenza.
Onde per cui, lentamente, compresi che dovevo trovare qualcosa che mi rendesse, se non affascinante, almeno interessante agli occhi di quelle ragazze.
L’unica cosa che viaggiava lievemente sopra la media era il cervello e lì mi attaccai. Gli altri le portavano alle partite di pallone o ai giardinetti? Io dovevo “stupirle” ed ecco così le visite al museo della Specola, alla Cupola del Duomo o al Campanile di Giotto, i sentieri segreti di Boboli o i panorami di S.Miniato a Monte.
Non tutte erano interessate, ma qualcuna ne veniva attratta.
Firenze mi aiutava ruffiana e le scoperte non finivano mai.
Il ’65 si apre con l’arresto di M.L.King e l’assassinio a New York di Malcolm X. Il cinema italiano ci regala due perle: I pugni in tasca di Bellocchio e La battaglia di Algeri di Pontecorvo.
Dopo giorni d’ansia sostengo i miei esami di terza media.
Penso al futuro prossimo: sarei tentato dal liceo, ma viste le mie titubanze i miei mi avviano (con un interiore sospiro di sollievo) verso l’Istituto Tecnico.
Mai scelta si rivelerà più sbagliata.
All’inizio del 1966 il mondo avverte i primi segni del cambiamento epocale che di lì a poco lo travolgerà: in Cina inizia la rivoluzione culturale e Mao, da bravo stalinista, inizia l’eliminazione dei propri avversari politici.
Negli Stati Uniti nasce il movimento dei Black Power, che nel ’68 ci darà la soddisfazione di vedere due atleti americani di colore salire sul podio olimpionico a piedi scalzi, testa bassa e pugno alzato . Un gesto coraggioso che segnerà la loro vita, oltre a fargli perdere medaglia e primato. Soltanto oggi, A.D.2005, qualcuno si è ricordato di loro, innalzando un monumento che li immortala nel fatidico gesto.
In Italia nel 1966 iniziano le prime contestazioni studentesche, ma io sino al tre novembre sono troppo occupato a sopravvivere ad aggiustaggio e disegno tecnico per avere il benché minimo rapporto con la realtà.
Ho una strana sensazione.
Un senso di apprensione che lentamente si sta sviluppando, quasi fosse un presentimento.
E più metto a fuoco, più l’inquietudine cresce.
In un primo momento ho avuto soltanto una scossa, un colpo di frusta che mi ha percorso tutto il corpo per finire alla gola, come quando un’emozione ci coglie alla sprovvista, troppo intensa per venire metabolizzata all’istante.
Ora ho anche un po’ paura.
Almeno credo.
Diciamo che sono pervaso da qualcosa di più di una sana apprensione.
Non vedo nessuno davanti e neppure alle spalle, ma quello che più m’impressiona è che non c’è nessuno neppure ai lati.
Insomma, non dico che debba per forza esserci una folla festosa, magari neppure passanti incuriositi, ma almeno qualcuno che faccia i fatti propri sarebbe anche lecito aspettarselo.
Invece niente, eppure il percorso è questo, tant’è che è pure segnato e la striscia rossa al centro della strada prosegue ben oltre il mio sguardo.
Comincio a rallentare.
Cercherò di correre sul posto, oramai ho rotto il fiato e se mi fermo rischio di ritrovarmi con il fiatone e le gambe molli.
In verità mi sento già un po’ stanco, eppure non mi sembra di avere percorso troppi chilometri.
Consulto il cardiofrequenzimetro: tutto a posto.
Il cronometro si è fermato: lo sapevo che dovevo cambiare quella maledetta batteria.
Mi viene da pensare che possa essere una buona metafora della condizione dell’uomo moderno: quando meno te lo aspetti ecco che l’energia si esaurisce e ti lascia a chiappe scoperte.
Comincio ad intravedere qualcuno lontanissimo alle mie spalle. Lo aspetterò almeno sino a quando non vedrò il numero della sua pettorina e poi, giuro, riparto come una scheggia.
Ce ne sono addirittura due; si avvicinano e comincio ad intuire i loro numeri.
Il primo ha il 25867 ed il secondo il 16002.
Questi erano quasi in fondo, io ho il 1312.
Mamma mia come sono scoppiati; dallo sforzo sembrano quasi dei vecchi.
Guarda quello che pancetta.
Corridori della domenica.
E quell’altro: quattro peli sulla testa; ma che oggi fanno correre soltanto i vecchietti?
E quelli “forti” dove sono finiti? Sarà la solita tattica del “vai vai che poi ti riprendo e ti lascio piantato lì”.
Però anche queste strade mica le riconosco; eppure ero venuto a fare una ricognizione questa notte con un amico che segnava il percorso.
Mah, dipenderà dal fatto che di giorno tutto appare diverso; fra l’altro il tempo non è neppure un granché!
Però i palazzi ondeggiano un po’ sfumati e questo oltre a non essere bello non è neppure troppo normale.
Sono ripartito e sono di nuovo solo.
Questa cosa comincia ad essere opprimente.
Insomma ero venuto per divertirmi e magari vincere una medaglietta; quelle che fanno per gli sciagurati come me che pagano e che vanno accontentati altrimenti non ritornano.
Quelle medagliette in similoro con scritta la data e magari “Classificato nella seconda edizione della gara podistica Un futuro Migliore”.
Però, che crisi.
Quella fermata mi ha creato problemi di respirazione, accidenti.
Il frequenzimetro ha cominciato a fare bi bi bi ed anche questo non va proprio bene.
Mi sento un’oppressione qui sul petto come se fosse scesa una mano gigante da questo cielo plumbeo.
Va a finire che mi fermo.
Va a finire che smetto di respirare.
Va a finire che qui ci lascio le penne e poi vorrei sentire tutti i commenti sullo scemo che va a correre e poi non si è neppure allenato e magari ha preso anche delle porcherie ché questi scemi della domenica si vogliono sempre mettere in mostra.
Buio, ora è tutto buio.
Madonna che angoscia!
Mi sveglio di colpo tutto sudato, in gola un acido che brucia e non mi fa respirare.
Mi alzo di scatto, non so neppure da che parte del letto sono e così batto violentemente nel tavolinetto. Non sento niente, preso da questo strano soffocamento.
“Respira con il naso, come quando bevi in mare e ti sembra di morire”. Me lo dico e lo faccio e la situazione lentissimamente inizia a migliorare.
Poi comincio a tossire e mi viene voglia di vomitare.
Ma che cavolo mi sta succedendo?
C’era un sogno, mi pare; una cosa strana con me che correvo ed ero solo e tutto era strano ed angoscioso.
Vado in bagno, mi sciacquo la faccia, bevo un po’ d’acqua, tossisco ed il panico tende a zero.
Avrò mangiato troppo o troppo poco, adesso non ricordo.
Mi rimetto a letto, il sonno se n’andato; già ho difficoltà di mio, figurarsi adesso.
Allora tra un colpo di tosse e l’altro mi metto a pensare, attendendo che il bruciore alla gola si attenui e torni il sonno.
Pensieri aggrovigliati; quelli che si fanno alle due di notte quando ti svegli con l’anima pesta e la testa istupidita.
Mi viene da pensare -chissà poi perché!- all’elezione del nuovo papa, al suo sorriso e a quegli occhi da Gatto Silvestro, a quel grido ritmato dalla folla, quel “Be-ne-det-to-Be-ne-det-to!” che riporta ad altre piazze ed ad altri balconi, anch’essi romani.
Penso che il videoregistratore è rimasto acceso e che dovrei alzarmi di nuovo per spengerlo e la cosa mi pare più faticosa che salire a piedi sulla Torre Eiffel.
Penso alla mia squadra di calcio che sta sprofondando verso la serie cadetta ed a me che non vorrei occuparmene e che invece sono sempre con un occhio ad Internet.
Penso a mio figlio che è di là che dorme e che magari ha gli incubi per lo stesso motivo.
Per la squadra intendo, non per il Papa.
Penso che ieri ho incontrato una ex insegnante di mio figlio, che mi ha ricordato quanto lui fosse già maturo, per certi versi, sin da quegli anni. E questo mi fa riflettere sul fatto che invece io vorrei tornare indietro e ripercorrere la vita, perché mi sento un po’ingannato dal destino, o meglio, dalle mie scelte oltremodo sbagliate, almeno sotto certi punti di vista.
Sarà la nemesi storica, ma mi ritrovo a fare come mio padre anche in questo.
E poi sarà pure una combinazione, ma quello stupido sogno (che non era riuscito neppure ad essere un incubo serio), si adatta perfettamente alla mia situazione.
Effettivamente negli ultimi tempi penso spesso a questa questione, dunque l’inconscio deve entrarci poco.
Rimugino specialmente sul mio percorso ideale, politico; perché passati i cinquanta un po’ di ansia viene.
Dove sono finiti tutti quelli che avevo accanto allora?
Si, insomma, a parte quelli che sono finiti a fare i dirigenti in Comune alla Regione alle Ferrovie in qualche partito eccetera, tutti gli altri, i signori nessuno come me, che fine hanno fatto?
Eppure dagli anni sessanta in poi, siamo stati più o meno tutti marchiati da quegli avvenimenti, tutti abbiamo respirato quell’atmosfera e tanti di noi hanno fatto nelle strade e nelle piazze le loro esperienze più importanti.
Noi eravamo lì ed anche non volendo quegli anni li abbiamo vissuti e sofferti.
Il guaio è che a quanto pare oggi al “nemico” non necessita più neppure del sano revisionismo: tutto è già dimenticato, o spesso peggio, mitizzato.
Alla fine abbiamo prodotto un sacco di icone, utili soltanto per essere commercializzate. Forse per tanti è stata una rimozione necessaria a mantenere un equilibrio psicologico o forse è semplicemente normale dimenticare quando le cose cambiano. Io, al contrario, ho voglia di ricordare, ho voglia di ripercorrere quegli anni e quelle sensazioni, nella consapevolezza di poter richiamare alla memoria quel lungo periodo con l’ottica privilegiata di chi l’ha vissuto dall’interno. I ricordi posso farli iniziare, per esempio, da quel novembre ‘63, ipotetico anno d’inizio della mia formazione politica.
Quello fu l’anno in cui Kennedy cadde sotto i colpi di Oswald (che dopo quarantotto ore avrebbe fatto la stessa misteriosa fine) ed in quell’anno l’unica cosa che conoscevo della politica nostrana era il simbolo del PSI, partito al quale mio padre dava la sua preferenza.
Era il periodo del primo Governo di centrosinistra, che creò non pochi problemi proprio in casa socialista, tant’è che già l’anno successivo il partito pagava questa partecipazione con la scissione: nasceva il PSIUP, al quale quasi subito mio padre aderì.
Io ero un qualsiasi ragazzino che approdava alle medie inferiori e vivevo in un mondo in cui l’informazione, per come la concepiamo oggi, era del tutto inesistente. Pochi i giornali ed ancor meno i lettori, un canale televisivo e due stazioni radiofoniche.
Degli avvenimenti di quegli anni sentivamo parlare a casa o al bar della Casa del Popolo.
I fatti di cronaca per noi ragazzi erano lontani come le zone geografiche che interessavano, come quando nel 1961 gli statunitensi sbarcarono alla Baia dei Porci, tentando, senza riuscirvi, di invadere la Cuba di Castro; l’anno dopo scoppiava la crisi dei missili e Kennedy poneva l’embargo all’isola.
Il 1963 fu, anche, l’inizio di quel conflitto in Vietnam che avrebbe cambiato buona parte del mondo dell’epoca, infiammando le generazioni dei ventenni d’ Europa e d’ America.
Nel frattempo nel 1960 erano nati i Beatles e la Loren vinceva l’Oscar. Ma nessuno di loro, ovviamente, poté impedire che nel ’62 fosse costruito il muro di Berlino.
Sempre nel 1962 moriva suicidata Marilyn Monroe e nascevano i Rolling Stones, l’Algeria proclamava l’indipendenza dopo una sanguinosa guerra nazionale ed in Italia moriva (ancora oggi misteriosamente) Enrico Mattei, presidente dell’Eni.
Ma il ’63 non è soltanto l’anno della mattanza statunitense, è anche quello della grande marcia per i diritti civili che Martin Luther King guidò a Washington.
Purtroppo, nello stesso periodo, nell’Italietta pressappochista, il crollo della diga del Vajont faceva contare 1440 morti, uccisi dall’ingordigia del rampante capitalismo italiano.
L’anno dopo, nel 1964 io ero, ovviamente, lo stesso dell’anno precedente.
Il volano del mondo iniziava a prendere velocità, ma io mi limitavo a fare il bravo studente ed a cercare di rimanere tra i primi della classe, e questo nonostante odiassi la scuola con tutte le mie forze.
La disponibilità poi dei miei, che fiduciosi si affidavano alla mia presunta maturità, mi metteva proprio in crisi.
Io cominciavo a scrivere le prime poesie, stimolate dagli amori e dalle delusioni, come, d’altra parte, accade più o meno a tutti a quell’età.
Alle medie inferiori, si sa infatti, che le bambine diventano presto ragazze, mentre i maschi, nella maggior parte dei casi, rimangono in un buffo stato intermedio sino alle prime classi superiori, quando i loro ormoni, finalmente, hanno la meglio sul calcio e la vergogna.
A questa regola fanno eccezione quei pochi che oltre a sembrare già adulti, iniziano anche a ragionare come tali.
Io ero un’eccezione nell’eccezione: sembravo un bravo bambino, ma avevo gli stimoli di un sedicenne.
Questo creava non pochi problemi, perché ero attratto dalle ragazze a cui piacevano, inevitabilmente, gli sportivoni di bella presenza.
Onde per cui, lentamente, compresi che dovevo trovare qualcosa che mi rendesse, se non affascinante, almeno interessante agli occhi di quelle ragazze.
L’unica cosa che viaggiava lievemente sopra la media era il cervello e lì mi attaccai. Gli altri le portavano alle partite di pallone o ai giardinetti? Io dovevo “stupirle” ed ecco così le visite al museo della Specola, alla Cupola del Duomo o al Campanile di Giotto, i sentieri segreti di Boboli o i panorami di S.Miniato a Monte.
Non tutte erano interessate, ma qualcuna ne veniva attratta.
Firenze mi aiutava ruffiana e le scoperte non finivano mai.
Il ’65 si apre con l’arresto di M.L.King e l’assassinio a New York di Malcolm X. Il cinema italiano ci regala due perle: I pugni in tasca di Bellocchio e La battaglia di Algeri di Pontecorvo.
Dopo giorni d’ansia sostengo i miei esami di terza media.
Penso al futuro prossimo: sarei tentato dal liceo, ma viste le mie titubanze i miei mi avviano (con un interiore sospiro di sollievo) verso l’Istituto Tecnico.
Mai scelta si rivelerà più sbagliata.
All’inizio del 1966 il mondo avverte i primi segni del cambiamento epocale che di lì a poco lo travolgerà: in Cina inizia la rivoluzione culturale e Mao, da bravo stalinista, inizia l’eliminazione dei propri avversari politici.
Negli Stati Uniti nasce il movimento dei Black Power, che nel ’68 ci darà la soddisfazione di vedere due atleti americani di colore salire sul podio olimpionico a piedi scalzi, testa bassa e pugno alzato . Un gesto coraggioso che segnerà la loro vita, oltre a fargli perdere medaglia e primato. Soltanto oggi, A.D.2005, qualcuno si è ricordato di loro, innalzando un monumento che li immortala nel fatidico gesto.
In Italia nel 1966 iniziano le prime contestazioni studentesche, ma io sino al tre novembre sono troppo occupato a sopravvivere ad aggiustaggio e disegno tecnico per avere il benché minimo rapporto con la realtà.
Etichette: 1968, amore, analisi, autoanalisi, ricordi
<< Home page